Dai Magazine ai Portali più blasonati sino ai Blog gestiti in forma amatoriale la pubblicità online è strumento di guadagno o quanto meno di speranza di guadagno. Per quanto ancora?
NdR: L’immagine di copertina è uno screenshot realizzato da un lettore di Punto Informatico mentre questo articolo trae ispirazione da quello scritto da Gaia Bottà per PI “Adblocker, tra rischi e opportunità”.
Gli adblocker modificheranno lo scenario di un benessere in crescita? Il maggiore fatturato della pubblicità online corrisponde veramente a interessanti risultati per quanti la espongono sulle pagine di loro proprietà?
Prima di dare una risposta a queste domande e capire cosa sono gli adblocker è necessario fare una premessa ricordando quanto mi disse un docente informatico durante un corso organizzato da HTML.it. Questo professore ci disilluse sulla facilità di diventare ricchi grazie ai banner pubblicitari offerti da Big G (per esempio), il corso trattava dei servizi di Google quindi si parlò dell’offerta pubblicitaria che AdWords offre a ogni publisher – soggetto in grado di proporre pubblicità sulle proprie pagine web – specificando che la resa per banner sarebbe stata di qualche frazione di centesimo nella maggior parte dei casi.
Il vero business della pubblicità online non è tanto di chi la espone – sempre che non la vende direttamente – quanto di chi la rende disponibile alle varie pagine web.
Internet non ha termini di paragone con altre realtà. Non è nemmeno possibile paragonare una testa online con un canale televisivo commerciale. La TV commerciale vive di pubblicità, lo spot paga i costi della rete e crea reddito in funzione di quanti investono in pubblicità televisive.
Le testate online sono prodotti che in parte nascono per fornire la versione web di un prodotto cartaceo, la necessità nasce in relazione ai tempi che vedono il lettore della carta stampata diventare sempre più utente della rete. Di conseguenza per mantenere alto il proprio brand e offrire contributi anche esclusivi importanti testate di quotidiani e periodici si propongono in internet con portali che creano anche un ulteriore fonte di guadagno derivante da una pubblicità più accessibile a tutti, meno costosa di quanto potrebbe essere quella stampata sulla versione cartacea del periodico o del quotidiano.
Ci sono poi delle testate che nascono online, non giungono da un’altra realtà bensì esistono perché internet è principalmente una risorsa “popolare”. Se dar vita a una testata cartacea richiede ingenti investimenti crearne una online può anche costare poche migliaia di euro. Più l’editore è capace a utilizzare gli strumenti del web meno dovrà investire in risorse esterne e quindi potrà proporre la sua idea editoriale a costo quasi nullo.
Ai margini dell’editoria online vi è una sterminata prateria di Blog animati dai loro blogger. Il numero di blogger attivi in internet è da capogiro. Spesso ci possiamo imbattere in realtà che meriterebbero veramente di essere editoria online per la qualità dei contenuti e per la competenza con la quale sono gestiti, mentre invece in altri casi si può navigare un prodotto che è visibilmente personale e non si avvicina al concetto di informazione ma è un prodotto di condivisione online di contenuti che sicuramente non valgono come informazione.
Questo, a grandi linee, è lo scenario di internet o di quella parte di rete che vuole fare informazione in un modo o nell’altro.
Prima abbiamo sostenuto che creare una testata online può costare pochi soldi. L’affermazione è estremamente reale tanto quanto la seguente: può anche rendere molto poco se non nulla.
Se le testate cartacee le compriamo in edicola quelle web – quasi tutte – le paghiamo accettando che vengano popolate da pubblicità: i famosi banner. L’evoluzione dei tempi ci ha viziato a tal punto che dopo la TV commerciale sono nate le TV a pagamento e quelle on demand che ci permettono di non interrompere i film con spot pubblicitari permettendo la visione continuativa. Quindi molti di noi – estremamente viziati dal progresso e non paghi di poter fruire di una vera moltitudine di canali gratuiti – pagano per poter usufruire di un servizio TV pulito, o ripulito, da fastidiosi inserimenti pubblicitari.
Chi legge le testate online sono le stesse persone che la sera, o quando vogliono e possono, guardano la TV. È quindi capibile che si desideri eliminare dei fastidiosi intermezzi pubblicitari che nel caso delle testate online non interrompono la lettura ma occupano spazi che distraggono o che comunque infastidiscono.
Oltre ai banner statici, quelli che si inseriscono nella pagina e li stanno, vi sono quelli che reagiscono al caricamento della stessa e propongono in modalità over page, quindi sovrapponendosi alla pagina, dei banner o dei video ancora più grandi che in taluni casi riprendono gli spot televisivi che noi abbiamo già visto passare in TV.
Internet è forse il prodotto più democratico che esista. Se così non fosse non esisterebbero nemmeno gli adblocker che sono applicazioni leggere proposte sotto varie forme in grado di bloccare il caricamento dei banner nelle pagine che stiamo visitando. A differenza della TV, per la quale nessuno ci ha mai scritto un adblocker, sarebbe impossibile da gestire, internet è interessata da questo fenomeno crescente che apparentemente sembra andare incontro alle esigenze dei consumatori offrendo loro la scelta consapevole di visualizzare o meno i banner pubblicitari.
Come si è detto prima la pubblicità online rende poco agli editori se non la vendono in maniera diretta. Bisogna però anche precisare che centinaia di migliaia o milioni di pagine visitate – parliamo delle testate che realmente hanno successo – sono comunque in grado di generare ricchezza moltiplicando quei pochi denari che, per esempio, Google ci offre per ogni banner.
Se l’utente blocca quei banner chi paga la testata? Chi copre i costi di redazione? Chi mantiene in piedi una struttura che per sopravvivere a costi di hosting, di SEO, di SEM etc.?
Cerchiamo di comprendere che per quanto si possa essere viziati si deve prendere atto che stiamo usufruendo di un servizio gratuito. Siamo entrati nell’edicola internet, abbiamo girato per gli scaffali di Google, di Yahoo, di Bing e di tutti gli altri motori per poi pizzicare la testata che ci interessava e sfogliarla a costo zero. Comodo vero?
Il periodo precedente difende quei poveretti che fanno informazione online e che il consumatore dovrebbe rispettare in quanto fornitori di un sevizio gratuito.
Ora però andiamo in difesa del lettore perché crediamo che la ragione stia sempre nel mezzo sebbene in questo caso vedrete che si porrà di lato o meglio in un angolo, in quel terzo angolo che definirà un triangolo completato dal gestore di servizi che eroga la connessione internet al lettore.
Che il lettore sia un soggetto viziato lo abbiamo già detto. Ora però cerchiamo anche di capire che sempre più il consumo di internet avviene attraverso un traffico mobile. A differenza delle ADSL casalinghe per le quali da anni esiste un offerta flat – quindi a costo fisso indipendentemente da quanto si scarica – per quelle invece mobile vige ancora la regola del consumo. Volendo essere più precisi esistono abbonamenti che coprono in base a un determinato costo i download sino a un massimo di “X” MB.
Ciò significa che tutto quanto noi scarichiamo contribuisce a consumare il nostro credito. Ovviamente il gestore non ci lascerà senza connessione internet, più semplicemente, raggiunto il tetto massimo, inizierà a farci pagare – a consumo – tutto quello che scaricheremo.
Ecco che il lettore ha un reale motivo per utilizzare gli adblocker se naviga via mobile.
Il lettore che fruisce della testata tramite mobile paga ogni singolo banner pubblicitario scaricato. Quindi ha completamente ragione nell’esprimere la volontà di tutelarsi e di rifiutare tutte quelle immagini, file in svg o HTML5 che popolano la rivista.
Chi ha quindi ragione? O meglio, chi va maggiormente tutelato?
L’editore e il lettore della rivista sono di fatto entrambi perdenti!
Quello che non emerge è invece un altro problema ben più grave e che in questo caso tutelerebbe editore e lettore. Il colpevole è il gestore di telefonia mobile che sta abusando da anni di un mercato in continua crescita che rende miliardi di euro. È inconcepibile che a oggi esistano ancora degli abbonamenti basati su fasce di consumo. È inconcepibile che non esista un solo, unico, costo mensile per navigare in modalità flat tramite mobile.
La telefonia mobile nacque – almeno così si diceva all’epoca – anche per soppiantare molte linee fisse e quindi ridurre i costi di infrastruttura. Non è tecnicamente ragionevole che esistano ancora condizioni commerciali arcaiche che non sono più assolutamente allineate con l’attuale mercato.
Quindi se vogliamo giungere al punto possiamo affermare che chi vuole una rivista priva di pubblicità può anche iniziare a redigerne una per conto suo perché anche quelle comprate in edicola, cartacee, contengono pubblicità; mentre invece potrebbe iniziare a lamentarsi con il proprio gestore telefonico e pretendere un piano dati flat.
Confondere la democrazia di internet con la possibilità di arrogarci il diritto di modificare il prodotto altrui tramite un adblocker ci sembra inutile, lesivo e sinceramente anche un po’ stupido perché come appena detto non andrà a modificare nulla perché il problema non è la pubblicità online. La pubblicità online è invece la risorsa che paga molti servizi gratuiti. Quindi accettatela almeno al pari di quella che siete obbligati a vedere in TV. Agite invece nei confronti di chi da anni munge una vacca da latte – il consumatore – attraverso piani mobile a consumo, questa sarebbe un’azione estremamente intelligente ma certamente più coinvolgente di quanto non lo sia il download di qualunque adblocker che vi offre vita più comoda.
Un mercato giusto ed equo richiede impegno e coinvolgimento di tutti ma nella giusta maniera.
In chiusura ricordiamo che per chi non avesse voglia di visualizzare banner pubblicitari nelle riviste online vi sono alcune testate che non li hanno ma che hanno un costo mensile per poter accedere alla lettura dei contenuti.
La nostra testata appartiene alla famiglia di quelle dai contenuti gratuiti che si pagano attraverso gli introiti degli inserzionisti e dalla pubblicità.
In seconda, ma ultima, chiusura occorre ancora sottolineare un punto. Vi sono testate online che invadono letteralmente di banner ogni area della rivista eccedendo e armando la ragione del lettore più intransigente. Bene, non vi sta bene tollerare quell’invasione? Cambiate rivista.
Però nemmeno in questo caso ci sembra corretto fare uso di adblocker, sarebbe come “rubare dei contenuti” visto che abbiamo trovato il modo di non pagarli.
Ve la sentireste – nella vita reale – di entrare in un’edicola, aprire una rivista e strappare solo le pagine dei testi che vi interessano per poi andarvene?
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