Le ricerche scientifiche dimostrano che per vincere la concorrenza durante i colloqui di lavoro bisogna poter contare su molti fattori. Qui parlerò del peso che i datori di lavoro danno alla bellezza del candidato.
Nel precedente articolo ho parlato dell’importanza che i datori di lavoro attribuiscono al livello di istruzione, i tempi e le interruzioni del percorso scolastico in fase di colloquio di lavoro. Basta solo il titolo di studio per riuscire in un colloquio? No, e infatti la De Stasio, che come visto nello scorso articolo si è occupata del ruolo dell’istruzione in fase di assunzione, si rende conto di aver tralasciato alcuni elementi importanti in fase di colloquio. Tra i fattori tralasciati ce n’è uno che attrae l’attenzione di molti studiosi: il peso della bellezza. Proprio di questo aspetto parlerò in queste righe. Lo farò citando due studi scientifici, uno americano e l’altro italiano.
Il primo studio, quello americano, non si occupa esattamente di bellezza, ma del processo di stigmatizzazione di cui sono vittime le persone con delle imperfezioni del viso evidenti, come cicatrici, grossi nei o vistose macchie nella pelle, durante i colloqui di lavoro. Si tratta di una ricerca del 2012 di Hebl e Madera1. In essa viene analizzata la risposta di 171 individui che guardano un colloquio di lavoro di candidati che presentano (o non presentano) dei difetti fisici evidenti. Sono tre gli elementi studiati dagli autori che si rivelano particolarmente interessanti per capire il ruolo dell’aspetto fisico durante i colloqui:
- Attraverso una tecnologia che traccia la traiettoria degli occhi, viene misurato il tempo che i partecipanti passano a guardare i difetti del viso dei candidati;
- la valutazione espressa nei confronti dei candidati, che cambia a seconda del fatto che abbiano o meno dei difetti evidenti;
- gli elementi che i partecipanti ricordano degli intervistati al termine del colloquio.
I risultati ottenuti dai ricercatori rivelano che i partecipanti a cui è stato chiesto di valutare dei candidati con delle imperfezioni al viso (nei, macchie o cicatrici) hanno passato più tempo degli altri ad osservare la guancia dei candidati sulla quale si trovava l’imperfezione in questione. Questo li ha condotti a ricordare un numero inferiore di informazioni presentate dal soggetto in fase di colloquio, e a dare, pertanto, una valutazione inferiore al candidato. Pertanto i candidati con imperfezioni, sono stati valutati in maniera inferiore agli altri, anche a parità di qualifiche. Lo stesso studio è stato replicato coinvolgendo 38 manager, ai quali è stato richiesto di sostenere colloqui faccia a faccia con candidati con e senza difetti al viso. Anche in questo caso i manager hanno dato una valutazione inferiore ai candidati con difetti facciali e ricordato minori dettagli del colloquio. Gli intervistatori sono distratti dai difetti epidermici e non ascoltano con la dovuta attenzione ciò viene detto loro dall’aspirante lavoratore.
Questo studio non ci dice direttamente che la bellezza è importante, ma ci dice che i difetti fisici distraggono dall’ascolto del candidato e ciò conduce ad una sua svalutazione in fase di colloquio.
Nello studio italiano, invece, si analizza proprio il ruolo della bellezza, focalizzandosi addirittura nel momento precedente al colloquio, ovvero in fase di valutazione del curriculum vitae. Sono infatti di recente pubblicazione i risultati di una ricerca dell’Università di Messina, che indicano quanto la bellezza conti, già in fase di selezione dei curriculum (Busetta et al. 20132). L’articolo è uscito con il titolo provocatorio: “Searching for a job is a beauty contest”, Cercare lavoro è un concorso di bellezza. Gli autori hanno voluto indagare il legame tra l’essere attraenti e l’ottenere un colloquio di lavoro dopo aver partecipato ad un concorso per l’assunzione. Hanno monitorato le agenzie di offerta di lavoro in Italia da agosto 2011 al settembre 2012 e inviato 11.008 curriculum vitae a 1.542 offerte di lavoro pubblicizzate. Per fare ciò, hanno costruito CV falsi e inviato gli stessi CV 8 volte, cambiando solo il nome e cognome, indirizzo, e la foto dei candidati. In particolare, per ogni posizione di lavoro sono stati inviati 4 CV con foto di un uomini e di donne attraenti o poco attraenti (l’essere o meno attraente è stato definito attraverso il giudizio di cento studenti dell’università a cui è stato richiesto di valutare le foto dei candidati), e 4 CV senza foto.
Le risposte positive sono state significativamente maggiori sia per gli uomini, sia per le donne quando le foto inviate corrispondevano ad individui attraenti. Gli autori hanno inoltre inviato CV di candidati stranieri, per testare la discriminazione su due livelli: bellezza e provenienza. Hanno osservato che la discriminazione tra stranieri e italiani è meno rilevante di quella tra persone attraenti e meno attraenti, in particolare per le donne. Un aspetto interessante riguarda, inoltre, il fatto che lo stesso tipo di discriminazione è avvenuto anche quando il lavoro offerto non prevedeva il contatto diretto col pubblico. Pertanto, questa ricerca ci insegna che nei colloqui di lavoro, a parità di qualifiche vengono avvantaggiati i candidati fisicamente attraenti.
Entrambi questi studi confermano, dunque, che l’aspetto fisico è uno degli elementi che i datori di lavoro valutano al momento dell’assunzione. Il titolo dell’articolo scientifico italiano, Cercare lavoro è un concorso di bellezza, seppur provocatorio, ha un suo fondo di verità. Per fortuna, come abbiamo visto nel precedente articolo, ma come anche conferma il buonsenso, istruzione, ma soprattutto competenze, rimangono fattori fondamentali per ottenere un posto di lavoro.
1Madera J. M. e M. R. Hebl, 2012, “Discrimination against facially stigmatized applicants in interviews: an eye-tracking and face-to-face investigation.” Journal of Applied Psychology 97 (2), 317.
2Busetta G., Fiorillo F. and Visalli E., 2013, “Searching for a job is a beauty contest”, Munich Personal RePEc Archive, Paper No. 49825.
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