Sembra che l’economia italiana si stia dirigendo verso momenti migliori, certamente ha influito anche l’azione di governo che però dimentica che nelle proprie casse c’è molta liquidità che dovrebbe invece essere ricollocata nei portafogli degli imprenditori.
ImprendiNews non vuole fare con quanto segue alcuna valutazione politica, semplicemente citerà gli accadimenti in quanto tali senza distribuire onori, gloria o demeriti ad alcuno se non in modalità collettiva. Crediamo infatti che per parlare della reale storia di un governo questo debba avere alle spalle almeno due mandati. Non è possibile giudicare le azioni sul breve termine se non quelle più esplicitamente banali ma certamente rilevanti per le tasche degli italiani.
Sulle pagine dell’ANSA, e su altre testate, rimbalzano le parole del Premier che così si esprime: «Seconda rata della Tasi, quello è il funerale delle tasse sulla casa.».
Il fatto che chi abbia restaurato una tassa poi la tolga dimostra semplicemente il fatto che le casse dello Stato vivono periodi critici per cui si dovette restaurare una tassa che era stata cancellata e che certamente non avrebbe mai più dovuto esser attivata perché colpisce il bene più prezioso degli italiani: la casa appunto.
L’Italia è forse uno dei paesi al mondo in cui vi sono più case di proprietà abitate da chi le possiede. Siamo estremamente legati a quel bene prezioso che ci ospita, ci protegge e certamente ci offre una sensazione di stabilità e di raggiunto benessere.
Un plauso quindi al buon Matteo Renzi che certamente ha fatto cosa gradita agli italiani.
Ora però parliamo di quei nostri soldi di cui non possiamo disporre e che spesso è difficile recuperare dalle casse governative.
Renzi dovrebbe però anche occuparsi di quest’altro grande problema che rischia di non far prendere importanti decisioni a molti imprenditori piccoli o medi. Prima di giungere al punto prendiamo anche in esame che il piccolo e medio imprenditore è colui che – sempre per italica cultura – venderebbe un proprio rene pur di mantenere viva la sua “creatura”.
Da questa considerazione scivolano via gli imprenditori di ultima generazione (non tutti) ma certamente quelli che più che imprenditori giocano a fare finanza attraverso l’impresa.
A noi però interessa prendere in esame l’imprenditore anche fa impresa per creare qualcosa di durevole e magari tramandabile, colui che con tanto affetto definiamo nobile pellegrino.
Come abbiamo accennato il nobile pellegrino è colui che venderebbe un rene per il bene della propria impresa o di quella che realizza per mantenersi in attività riconvertendo la sua azione imprenditoriale su un diverso mercato perché, magari, quello precedente non poteva proprio più offrirgli nulla.
Ci sono casi in cui il nobile pellegrino vanta dei crediti nei confronti del Fisco. L’entità dei crediti – siccome si parla di un nobile pellegrino che sottintende anche la natura del povero – non saranno certamente a sei zeri ma la loro entità rappresenta certamente una risorsa importante per la sopravvivenza dell’imprenditore, dell’impresa, della famiglia dell’imprenditore e di quei poveri pellegrini subordinati che traggono ricchezza dal lavoro che invece il nobile pellegrino è in grado di offrire.
Nei paesi veramente evoluti, dove l’economia che coinvolge l’impresa funziona e viene rispettata, i governi rimborsano i crediti alle imprese nell’arco di qualche settimana e lo fanno cash.
In Italia invece dove permane la cultura che chi lavora in proprio sia un ladro e un evasore il Fisco chiede al nobile pellegrino di stipulare un’assicurazione fideiussoria, o altra fideiussione, a garanzia dei soldi che sono già suoi.
Questa perversione deriva dal fatto che il Fisco italiano parte sempre dal presupposto che ci sia qualcosa che non va, che ci sia qualcosa che e sfuggito ai controlli e che si debba forse agire nei confronti del contribuente per fargli pagare il dovuto.
Partendo dal presupposto che per il Fisco italiano è doveroso esigere da qualunque contribuente ciò che quest’ultimo non ha pagato, altresì doveroso dovrebbe essere logico agire senza la presunzione di colpa che porta a richiedere la già menzionata garanzia fideiussoria in assenza della quale non potrebbe esserci rimborso.
Che il Fisco italiano riconosca un 2% su base annua per quello che non riesce a restituire nei tempi dovuti è un dettaglio che all’imprenditore non interessa. Se l’imprenditore vanta un credito di 30 mila euro – ad esempio – che potrebbe utilizzare per cose utili non gli interessa di ricevere qualche briciola in più rispetto a un deposito bancario non vincolato.
Questo per un motivo ben preciso: le banche non finanziano più come una volta i piccoli imprenditori ma soprattutto chi ha la necessità di utilizzare i propri crediti fiscali, spesso, non è nelle condizione di presentare dei numeri che possano giustificare il “Sì” di una banca per la richiesta di un finanziamento.
Quindi cosa succede? Il nobile pellegrino avrebbe i soldi che gli servono – e che sono suoi – per continuare a essere nobile e forse meno pellegrino. Purtroppo il Fisco compie un’azione che non è – ma profuma – di sequestro cautelativo.
Se poi la cifra da recuperare è già di qualche decina di migliaia di euro il funzionario del Fisco avrà l’obbligo morale nei confronti del suo datore di lavoro – dovrebbero essere gli italiani ma non lo sono – di scavare affannosamente nelle pieghe e fra le righe dei documenti per trovare un cavillo che nella migliore delle ipotesi punterà a ridurre il credito esigibile o nella peggiore delle ipotesi produrrà un diniego per colpa.
Solitamente il nobile pellegrino si avvale di studi commercialistici seri perché mai si giocherebbe la propria attività a causa di una cattiva gestione o cattivi consigli ricevuti da chi invece lo deve consigliare e guidare nel procelloso mare delle regole a cui attenersi.
Tanto più in considerazione al fatto che se il nobile pellegrino è chiamato a una corretta e trasparente gestione dell’impresa questo non sempre vale agli occhi del Fisco che comunque non gli crederà a prescindere. Sempre che non incontri un funzionario con la “F” maiuscola che mantiene altro il valore di un’istituzione verso la quale dobbiamo rispetto a prescindere da qualunque giudizio generalista si esprima per dovere di cronaca.
Cos’hanno in comune la tassa sulla casa e i recuperi fiscali?
Le casse del Governo.
La domanda che ci si può porre quindi è: «Se abbiamo quindi soldi per togliere la tassa sulla casa, perché non abbiamo anche i soldi da restituire ai nostri creditori? A coloro che con i loro crediti farebbero semplicemente marciare l’unica vera locomotiva italiana: il mondo che crea lavoro?».
Dietro a questo articolo c’è una storia. La storia è di un imprenditore che non vuole ancora essere noto al pubblico perché rispettoso dei ruoli e stoico nell’attesa di una risposta positiva che dovrebbe giungere dal Fisco italiano riguardante un vitale recupero crediti.
Chi ha ispirato quindi questo articolo è il degno rappresentante di quella categoria di nobili pellegrini che indefessamente creano reddito giocandosi la camicia ma anche indumenti di più basso posizionamento con tanto si contenuto.
A questo articolo ne seguirà a breve un altro nel quale ImprendiNews avanzerà un’ipotesi di Decreto Legge che potrebbe fare felici molti nobili pellegrini che rientrerebbero in possesso dei loro crediti senza mettere in croce le casse governative.
ImprendiNews forse agirà presuntuosamente scrivendo l’articolo che seguirà ma certamente quanto proporrà giunge da necessità reali espresse dall’unica locomotiva italiana in grado di mantenere a galla il paese, ossia il mondo che lavora ma che al contempo crea il lavoro altrui e contribuisce a mantenere la macchina statale.
A presto con “Come convertire in liquidità i crediti fiscali”.
Partecipa
Commenti su Facebook
Commenta tramite Google+
Powered by Google+ Comments