Sicuramente il girone dantesco lo stanno già vivendo le borse occidentali che con i loro valori negativi sono la prova della volontà che la banca centrale cinese vuole scongiurare l’inizio di una crisi economica passando attraverso la svalutazione. Se la crisi si verificasse avrebbe effetti devastanti ma soprattutto riporterebbe l’economia lontana da una ripresa.
La Cina è un grande paese. Non è più la Cina di qualche decennio fa, la Cina di Mao Tse-tung. È un paese estremamente evoluto, culturalmente ricco e oggi è anche una potenza produttiva, un super fornitore mondiale che attraverso la sua crescita è diventato anche un super consumatore mondiale.
Il benessere cinese ha origine da quello che in Cina rendeva il mercato del lavoro ultra appetibile: l’esiguo costo. Questo porto molti, troppi, industriali occidentali a rilocalizzare le loro produzione laddove conveniva: in Cina appunto.
Con una massiccia industrializzazione si sono creati moltissimi posti di lavoro che hanno poi portato a un innalzamento procapite del reddito. La ricchezza del consumatore cinese ha creato un grande, ma grande, popolo di consumatori. È inutile ricordare, ma lo facciamo, che la Cina ha una densità demografica spaventosa e che per questo rappresenta uno dei mercati più appetibili per qualunque produttore straniero.
La scelta del Governo cinese di svalutare la moneta nazionale per cercare di arginare il rischio crisi sta mettendo in ginocchio le borse mondiali che semplicemente prevedono gli effetti di un ridotto potere di acquisto della moneta cinese. Se lo Juan viene penalizzato sul mercato dei cambi anche i cinesi più benestanti avranno un minor potere di acquisto.
Con la globalizzazione si sono create infinite opportunità ma anche talune situazioni che forse iniziano a diventare paradossali. Da una parte l’Occidente ha arricchito la Cina grazie alla sua povertà, dall’altra parte la Cina arricchita ha restituito il favore consumando beni di lusso, o comunque beni occidentali, grazie alle nuove possibilità finanziarie.
Gli occidentali hanno continuato a vendere i loro prodotti a prezzi che non sono certamente ridotti sulla base dei risparmi produttivi e quindi oggi si vive un momento di paura nei confronti di chi non potrà più pagare per il loro prezzo dei beni prodotti primariamente per dei mercati dove il reddito procapite è ben più alto di quello cinese.
Quello che però dovrebbe spaventare maggiormente è che la Cina non riesca a bloccare una eventuale crisi economica interna. Dal 2008 a oggi, fra crisi reali e costruite ad arte, abbiamo già danneggiato più volte l’economia mondiale prima con effetti transoceanici poi limitandoci al vecchio continente.
I drammi già vissuti potrebbero risultare scaramucce fa bambini nei confronti di una reale crisi che dovesse mettere a dura prova il più popoloso paese del mondo. Quel grande paese dalla cultura millenaria che è passato da un modello sociale a un altro guardando all’Occidente come esempio di benessere.
Soccorrere un paese come la Grecia o come l’Italia può essere fattibile a fronte di una reale volontà. Soccorrere il paese Cina con tutta la buona volontà sarebbe impossibile semplicemente per motivi numerici. L’entità demografica della Cina potrebbe creare la più grave crisi di “fame nel mondo”. Sicuramente non sarebbe una fame intesa in termini di cibo ma sicuramente un ritorno a una condizione meno agiata.
La Grecia prima e la Cina ora fanno desiderare un’evoluzione dell’intelligenza umana.
Se si continuerà solo ed esclusivamente a gestire questo pianeta in virtù di mercati finanziari e valori di borsa si arriverà a un collasso, o crisi che dir si voglia, che potrebbe veramente fare piangere lacrime amare.
Mentre invece se si gestirà la globalizzazione nell’interesse che ogni continente e ogni paese di ogni continente mantenga o migliori il proprio benessere si porranno le basi affinché vi sia la sopravvivenza di un modello di vita che ha già iniziato a piacerci da qualche decennio.
Auguriamoci che i grandi speculatori comprendano che qualora dovesse dilagare la fame anche loro rimarrebbero disoccupati.
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