L’importanza della classe sociale dei genitori per determinare il livello di istruzione dei figli è in costante diminuzione. Lo dimostrano due importanti studi sociologici italiani.
In un mondo ideale tutti dovrebbero avere la stessa possibilità di raggiungere ogni livello di istruzione, a prescindere dalla classe sociale dei genitori. A contare dovrebbero essere solo le capacità individuali e l’impegno, affinché alla base dei risultati ci sia esclusivamente il merito. In realtà, come è facile immaginare, molte ricerche hanno dimostrato il forte legame tra la classe sociale dei genitori e il livello di istruzione dei figli. I genitori con alta classe sociale possono garantire ai figli maggiori risorse economiche utili ad affrontare il percorso scolastico, coprendo sia i costi diretti dell’istruzione, ad esempio le tasse scolastiche o le spese per i libri, sia i costi indiretti, ovvero i mancati guadagni da parte di un figlio che rimane per un periodo più lungo nell’istruzione.
I sociologi italiani si sono interrogati molto, di recente, sulla riduzione di queste disuguaglianze, a fronte dell’aumento dell’istruzione che ha caratterizzato il Paese negli ultimi decenni. Se ne sono interessati Ballarino e colleghi1 nel 2009, con uno studio che considera le coorti di nascita dal 1920 al 1969 e valuta proprio gli effetti dell’aumento generale dell’istruzione sul legame tra classe sociale e livello di studio. Più di recente (2015) Triventi e altri studiosi2 hanno considerato nella loro ricerca anche le coorti più giovani e utilizzato diversi metodi di analisi per indagare il legame tra classe sociale di origine e livello di studio raggiunto. Entrambe le ricerche forniscono un contributo importante alla materia, offrendo una panoramica completa dei cambiamenti avvenuti nel secolo scorso e agli inizi degli anni 2000.
Nel primo studio, Ballarino e colleghi arrivano alla conclusione che le disuguaglianze relative nell’istruzione sono diminuite nel corso del tempo. In particolare, per i nati negli anni ‘60 la possibilità di raggiungere un certo livello di istruzione dipende in misura minore dalla classe di origine dei genitori rispetto a quanto accade per i nati negli anni ’20. Alla base di questa riduzione ci sarebbe il minor timore da parte delle nuove generazioni di genitori di investire sull’istruzione dei figli, anche oltre agli anni di istruzione obbligatoria. Questo cambiamento di visione, a sua volta, potrebbe dipendere dalla maggior stabilità lavorativa dei genitori stessi. A beneficiare dell’aumento dell’istruzione avvenuto negli anni ’50, sarebbero in particolare le classi agricole. Da una parte i miglioramenti nei mezzi di trasporto hanno garantito loro la possibilità di frequentare le scuole secondarie e terziarie nei centri urbani, dall’altra la meccanizzazione dell’agricoltura ha portato alla necessità di un maggiore investimento nell’istruzione.
Nello studio più recente, Triventi e colleghi analizzano il problema utilizzando metodi differenti, ad esempio considerando l’istruzione come una misura posizionale. I diversi livelli di istruzione hanno un valore differente a seconda di quanto ogni titolo di studio sia diffuso tra la popolazione e di quali siano i vantaggi economici che ne derivino, una volta entrati nel mondo del lavoro. Ad esempio: il diploma secondario di primo grado aveva un valore molto alto a metà secolo, mentre, in seguito, con l’espansione dell’istruzione secondaria di secondo grado, il suo valore si è ridotto. Ciò che Triventi e colleghi dimostrano è che, a prescindere dal tipo di misurazione usata per l’istruzione, nel nostro paese le disuguaglianze diminuiscono anche per le generazioni più recenti. Considerando il valore posizionale dell’istruzione, gli autori però riescono a spiegare che la diminuzione delle differenze di classe per le nuove generazioni dipende più dalla riduzione del valore occupazionale dell’istruzione terziaria, che dalla crescita dell’istruzione dei figli delle classi sociali più basse.
In conclusione, seppure in diminuzione, le differenze nell’accesso ai diversi livelli di istruzione a seconda delle classi sociali, rimangono comunque ampie nel sistema italiano, specialmente se confrontate con quelle di altri Paesi europei. Siamo in una situazione in cui l’origine sociale gioca ancora un ruolo importante per i destini scolastici dei giovani e alcuni cambiamenti attuali della società potrebbero portare ad ulteriori squilibri a favore delle classi sociali più alte. In questo periodo storico, infatti, ad incidere sulle scelte scolastiche è anche la situazione di crisi economica, che condiziona in particolare le classi sociali più basse. Le nuove generazioni, inoltre, sono sempre più composte da popolazione di origine straniera, per la quale valgono regole proprie per la trasmissione delle opportunità educative tra genitori e figli (ad esempio gli immigrati, ancor più che gli italiani, investono nell’istruzione dei figli come strumento di ascensione sociale). Questi due elementi, insieme a quanto appreso finora nelle ricerche qui riportate, rendono lo studio del tema sempre attuale e importante in una prospettiva futura.
1Ballarino, G., Bernardi, F., Requena, M., e Schadee, H. (2009). Persistent inequalities?
Expansion of education and class inequality in Italy and Spain. European Sociological
Review, 25(1), 123-138.
2Triventi M., Panichella N., Ballarino G., Barone C. e Bernardi F. (2015) Education as a positional good. Implications for social inequalities in educational attainment in Italy, Research in Social Stratification and Mobility, http://dx.doi.org/doi:10.1016/j.rssm.2015.04.002
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