Quante sono le donne che lasciano il lavoro dopo la nascita di un figlio? Partendo da questa domanda analizzo il complesso rapporto tra lavoro e maternità.
In Italia nel 2013 ci sono state 524 mila nascite, un dato che dimostra il calo dei nuovi nati per il quinto anno consecutivo. Il numero medio di figli per donna è di 1,39, anche questo in discesa: erano 1,42 nel 2012 ed sono 1,27 nel 2013 se si considerano solo le italiane (dati ISTAT).
Nonostante questi dati dimostrino una diminuzione delle nascite, l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro1, fa sì che un numero crescente di donne si trovi a dover conciliare maternità e attività lavorativa. In questo articolo prenderò in considerazione le difficoltà delle donne nel mantenere un’occupazione nel momento in cui sperimentano la maternità.
La tutela delle lavoratrici nel momento della maternità passa attraverso un’astensione obbligatoria dal lavoro2 di 5 mesi in cui la lavoratrice ha diritto a percepire un’indennità economica pari all’80% della retribuzione giornaliera, sulla base dell’ultimo mese di lavoro precedente all’inizio del congedo. In aggiunta a questo periodo obbligatorio esiste la possibilità di optare per un periodo facoltativo di 10 o 11 mesi, in cui la paga corrisponde al 30% dello stipendio. Talvolta questa protezione formale, che riguarda solo il primo periodo di vita del bambino, non è sufficiente. Molte donne decidono di abbandonare il posto di lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla cura dei figli o vengono spinte datori di lavoro a lasciare la loro posizione.
Immagine 1. Donne, maternità e lavoro
Utilizzando i dati dell’indagine Multiscopo “Uso del tempo” (2008-2009) e l’indagine “Famiglia e soggetti sociali” (2009) l’ISTAT propone una riflessione sull’interruzione del lavoro da parte delle donne in occasione della nascita di un figlio. L’interruzione può essere volontaria, oppure, come detto, può venire incentivata da pressioni esterne.
Il grafico compara due dati: le interruzioni per costrizione e le interruzioni per la nascita di un figlio, mettendo a confronto diverse generazioni di donne (Grafico 1). Con interruzioni per costrizione si intendono le madri che nell’indagine Multiscopo hanno risposto affermativamente alla domanda: “Nel corso della sua vita lavorativa è stata licenziata o è stata messa in condizione di lasciare il lavoro (attraverso sue dimissioni), in occasione o a seguito di una gravidanza?”.
Con interruzioni per la nascita di un figlio, ci si riferisce, invece, alle madri che hanno sospeso l’attività lavorativa almeno una volta indicando come motivo la nascita di un figlio, senza che queste interruzioni fossero forzate da altri3. Mentre le interruzioni per la nascita sono rimaste invariate tra le diverse generazioni, sono le interruzioni per costrizione ad essere in aumento tra le generazioni più giovani. In media l’8,7 per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato hanno dichiarato che nel corso della loro carriera lavorativa sono state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere in occasione di una gravidanza.
Nell’analisi di questi dati l’ISTAT fa esplicitamente riferimento alla pratica delle “dimissioni in bianco”, una pratica illegale ma in Italia ancora diffusa. Con “dimissioni in bianco” ci si riferisce al fatto che le lavoratrici debbano firmare una lettera di dimissioni priva di data, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro. Tale documento verrà usato a discrezione del datore di lavoro per il loro licenziamento.
Grafico 1. Madri che hanno interrotto l’attività lavorativa in occasione di una gravidanza per generazione di nascita della madre e modalità di interruzione. Per 100 madri di 16-64 anni che lavorano o hanno lavorato in passato con le stesse caratteristiche.
L’ISTAT approfondisce l’argomento presentando nel Rapporto Annuale4 2014 un riferimento alle criticità nel mercato del lavoro in corrispondenza della nascita di un figlio. I dati si aggiungono a quelli presentati finora e confermano le difficoltà delle donne a rimanere nel mercato del lavoro dopo la maternità.
In un confronto tra il 2005 ed il 2012 emerge che nel 2012 il 22,3% delle donne che lavoravano al momento della gravidanza non lavorano più a due anni dalla nascita del figlio. Nel 2005 erano il 18,4%. Le più esposte al rischio di perdere il lavoro sono le mamme che lavorano a tempo determinato, il 45.7% nel 2012, contro il 36,3% nel 2005.
Sono maggiormente a rischio le donne che lavorano nel privato, più che quelle che lavorano nel pubblico, maggiormente tutelate: il 24.6% nel 2012 per il privato, il doppio che nel pubblico. I dati 2012 confermano che sono in aumento le lavoratrici licenziate: 27.2% contro il 16% del 2005. Sono invece diminuite quante hanno scelto autonomamente di lasciare il lavoro, passando dal 69,3% del 2005 al 53% del 2012. Queste donne dichiarano comunque prevalentemente che il motivo di tale decisione è il tempo da dedicare ai figli.
Questo articolo è servito a dare un quadro generale delle difficoltà delle madri nel mercato del lavoro, di quante perdano, o siano costrette a lasciare la loro posizione lavorativa, di quanto queste dinamiche siano in aumento tra le generazioni più giovani e negli ultimi anni.
Ma cosa succede alle donne che rimangono nel mondo del lavoro pur avendo dei figli? Quali sono le conseguenze della maternità in termini di retribuzione ad avanzamento di carriera? Ne parlerò nel prossimo articolo.
Infine, scrivendo queste righe mi è sembrato sin dall’inizio che mancasse qualcosa.
Qualcosa di importante legato alla famiglia, al crescere i figli, al quadro generale del problema: mancavano i padri. I congedi alla nascita del figlio possono essere divisi tra i genitori, ma ancora poco si sa sui congedi parentali usufruiti dagli uomini. Un articolo della mia rubrica sarà dedicato a questo: a padri, congedi di paternità e carriera lavorativa.
1 Dati riportati qui: “CLIC – Delle donne nemmeno l’ombra“.
2 Per dettagli INPS » Maternità e Paternità.
3 Maternità e interruzioni del lavoro.
4 Fonte dati: Istat, Indagine campionaria sulle nascite e le madri.
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