L’artista Mark Cooper è ora in mostra con Winescapes presso l’Hotel Candiani. Dalle ore 10:00 sino alle 18:00 la mostra si può visitare ad ingesso libero, le opere sono esposte nella Sala D’Alençon.
Abbiamo già parlato di Winescapes nell’articolo “Fra paesaggi, vigneti e vino: l’Arte”. Non ci ripeteremo, continueremo piuttosto la conoscenza dell’artisa Mark Cooper attraverso testi a lui dedicati.
Mark R. Cooper
È inglese, nato a Carlisle nel 1965 e cresciuto a Keswick, nel Lake District, dove ha frequentato la scuola Lairthwaite comprehensive school (1976 – 1980) e si è diplomato alla Highfield High school di Blackpool, Lancashire (1981 -1984).
Ha vissuto a Londra per 12 anni, lavorando come fotografo freelance e realizzando diversi reportage all’estero – soprattutto in Medio Oriente e Africa settentrionale.
Dal 1993 si è stabilito in Piemonte, nella provincia di Alessandria, dove vive e ha aperto il proprio studio.
Dedica la propria ricerca fotografica al progetto Earthscapes – L’arte del Paesaggio, producendo immagini fotografate dall’alto, una postazione privilegiata che permette una visione integrale del panorama, e per cui gli elementi che lo compongono diventano agli occhi «brani astratti di pittura segnica e porzioni di superfici regolate da pattern in cui regna un silenzio metafisico» (Elisabetta Longari).
«Oh! Quanto sono belle le opere prese dal grande fotografo chiamato Mark Cooper, perché credete, da chi se ne intende, ch’è bravo davvero: e le sue opere, per essere viste, non hanno bisogno di olio e di chiodi che furono, ma solo di quelli di adesso e ancora in questo io trovo un incanto sottile … Le fotografie pure di Mark Cooper sono classici esempi dell’Astrattismo restando Fotografie del reale, e ci piace chiamarlo miracolo quanto meno linguistico» (Ando Gilardi)
Vi proponiamo ora due recensioni rispettivamente firmate dalla Professoressa Elisabetta Longari e dallo Storico Ando Gilardi.
all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano
Molteplici sono i punti di vista da cui è possibile rivelare gli aspetti inediti ed emozionanti della realtà: a 1000 mt di altezza, oppure inginocchiato a scrutare lo stesso paesaggio da 5 cm di distanza. L’impatto con il mondo circostante è visivo ed è li che bisogna indagare per trovare la parte più esaltante e suggestiva di cui nutrirsi e sognare.
Ma a volte bisogna andare oltre e ricercare aldilà del puro dato oggettivo creando strutture fantastiche per rispondere ad una necessità interiore: donare agli occhi nuovi stimoli per procedere nell’indagine del mondo. Si parte da un frammento di realtà (macro-fotografia) di elementi della natura come ferro e legno, usurati dal tempo e abbandonati dall’uomo, ma anche dal ghiaccio, pietra, acqua che assumono nuova identità nel caos ordinato della composizione.
La ripetizione nel quadro dell’elemento seguendo curve iperboliche, ellittiche, romboidali produce simmetrie affascinanti e suggestive, che conducono all’infinito.
È nel totale da una certa distanza che si fruisce dell’impatto visivo più attraente, ordinato attraverso leggi matematiche insite nella stessa natura, ma è da molto vicino che in quella struttura si scopre, nitido e chiaro, l’elemento base che lo ha generato e che torna ad essere sorprendente, interessante e di nuovo utile, perlomeno per i nostri occhi. È’ come portare a compimento un ciclo : dalla natura, trasformata e deteriorata dall’azione degli elementi, a formazioni strutturali, che riportano al micro- infinitesimale, che le ridanno nuova vita. Il percorso parte dall’osservazione, dal lo stupore e dall’esaltazione per il potenziale scoperto ed il conseguente bisogno di creare perché non c’è alternativa: si obbedisce a leggi interiori del tutto naturali, istintive. Creare è vivere. La vita coincide con l’arte, che parte dalla natura. È un legame indissolubile che per Cooper diventa arte-vita e quindi imprescindibile: natura.
Elisabetta Longari
fondatore della Fototeca Storica Nazionale
Le fotografie di Mark Cooper documentano una svolta importante nella storia dell’Arte Contemporanea, dove la Fotografia è ancora considerata una intrusa. Tenteremo l’impresa difficile di motivarlo. Al principio del secolo scorso la cultura e la pratica millenaria della Figura, furono sconvolte da una rivoluzione: gli artisti si ribellarono alla tradizione, al codice millenario che imponeva di rappresentare nelle loro opere nel modo più fedele possibile la realtà così come si vede: il “quadro”, se non copiava fedelmente il soggetto non era “artistico”.
La ribellione degli artisti si diffuse in un tempo fulmineo in tutti i paesi. Un nuovo dipingere chiamato Astrattismo nato dal rifiuto di essere costretti a rappresentare la realtà per esaltare i propri sentimenti, permise di immaginare il pensiero non solo attraverso mimiche forme, ma anche tramite linee pure e puri colori. Così l’Artista per i cento anni trascorsi da allora ha infine creduto di liberarsi con l’Astrattismo dal dominio dalla Natura. Questo – nei fatti concreti – nel Mercato come nei grandi Musei, per dirlo nel modo più semplice, chiudeva e ha chiuso le porte alla Fotografia e al Fotografo, che sono vissuti e vivono se non di elemosinate critiche, quasi.
Nei suoi cento anni di storia l’Arte Astratta ha fatto nascere migliaia di opere, volendo ricordare solo i capolavori appesi nei più grandi Musei, dove se incontri una fotografia è una assurda sorpresa: su questi capolavori centinaia di storici, critici e anche psicologi analisti e analisti diversi hanno scritto milioni di libri, di saggi e di testi scientifici. L’arte Astratta è stata la Genesi di un universo culturale ‘Copernicano’ dove al centro non era più la Natura, il Reale, ma quello che prima di essere Immagine non esisteva.
Ora succede qualcosa di molto interessante: e non abbiamo paura di scrivere storico. Succede che un bravo fotografo di nome Mark Cooper, rimette la realtà che vediamo con gli occhi, e poi la Natura, in quello che è stato da sempre il suo posto: al centro dell’Universo dell’Arte. Poiché le parole di cui disponiamo restano quello che sono nei loro significati anche per raccontare gli eventi nuovissimi, ecco che di un tratto diventano come monete uscite dall’uso; ed ecco, il copernicano ritorna tolemaico.
Le fotografie pure di Mark Cooper sono classici esempi dell’Astrattismo restando Fotografie del reale, e ci piace chiamarlo miracolo quanto meno linguistico.
La Fotografia si Vendica
Malgrado l’età già avanzata del mezzo, sono quasi due secoli, continuano a farsi ridicoli sforzi, per convincere non si sa più bene chi, che la fotografia sia un’arte, quando invece gli artisti, intendo tutti quelli che si ostinano a fare le immagini a mano, appena le hanno finite iniziano a farsi in quattro perché diventino fotografie: per un catalogo, listino, guida turistica o di museo, o anche per una notizia qualunque. Perché le cose sono andate in modo che un quadro, per fare l’esempio maggiore, oppure una statua, un disegno, un affresco, se poi non diventano fotografie è come se non fossero stati mai fatti. Il bello è che la fotografia di un quadro dipinto a olio, per fare l’esempio più comune, resta per chi ne parla e ne scrive un quadro a olio: non importa che l’olio non ci sia più, come si può toccare con mano, ma chi nel testo ne parla e magari l’analizza, parla della fotografia, la commenta e descrive come se fosse proprio il quadro davvero. Si tratta, so bene, di una innocente forma di schizofrenia, e uso il termine nel suo significato clinico, però a un vecchio fotografo come io sono, che ha passato la vita a fotografare – e non esagero che ho novant’anni – decine di migliaia di opere d’arte, fa quasi sempre sorridere ma a volte dà anche un poco fastidio.
Il vecchio fotografo no ma la fotografia si vendica: nel senso intendo che per diventare …un quadro non ha più bisogno dell’olio. Dovete scusarmi vi prego, ma io non sono mai stato capace di parlare e meno ancora di scrivere d’arte, in modo serio e meno che mai su di tono: insomma da critico e storico; per cui vado avanti a battute, a epodi e giambi come diceva qualcuno. E come allora si vendica la Fotografia? Trovando Opere d’Arte belle pronte per essere “prese”, per essere esatti – cose che in fotografia diventano immagini che a tutti gli effetti e con piena ragione si legano alla storia e alla produzione dell’arte manufatta – le cose belle pronte si trovano da tutte le parti ma specialmente in natura. E quelli disponibili e pronti e provvisti del mezzo e dei modi per fare un gran salto, e intendo proprio per continuare a fare il giullare e scavalcare quell’olio, sono i fotografi come Mark Cooper. Un caro amico, un caro ragazzo gentile e di cuore che lui non lo sa, di essere uno di quelli che io da sempre chiamo i grandi Boia dell’Arte: nel senso intendo che per ottenere la fotografia di un quadro non hanno bisogno della esistenza dell’olio, e nemmeno che esista e sia mai esistito, e che cominci a esistere dopo che è stato fotografato, così come era nell’istante preciso e non è poi più nel momento che segue.
Ebbene lo so che capirlo è difficile: farò l’esempio del pupazzo di neve, uno di quelli con la pipa in bocca e in testa un vecchio cilindro, fotografato in una calda giornata di sole: non dico il giorno dopo ma pure dopo un istante, la fotografia rifatta non è più come quella già fatta. E qui potrei sviluppare un lungo discorso che porto avanti da tanti anni e che si conclude… ma non voglio perdere quei quattro lettori che forse mi sono rimasti: vorrei solo dire che le fotografie diciamo astratte di Mark hanno per chi conosce la fotografia non per quanto si dice ma per quello che è, hanno – dicevo – un fascino incredibile specialmente per un vecchio fotografo che sotto il dito della mano destra – quello del clic – ha diecimila opere d’arte: che ogni tanto mi chiedo «dove saranno? Sono sempre rimaste appese a quello stesso chiodo, povere mummie di un morto spettacolo?» Oh! Quanto sono belle le opere prese dal grande fotografo chiamato Mark Cooper, perché credete, da chi se ne intende, ch’è bravo davvero: e le sue opere, per essere viste, non hanno bisogno di olio e di chiodi che furono, ma solo di quelli di adesso e ancora in questo io trovo un incanto sottile.
La fotografia dicono che abbia cambiato la vita: ma non significa niente se non si aggiunge che l’abbia cambiata nel senso di renderla spaventosamente più complicata per il linguaggio, la semantica, insomma la terminologia disponibile per trattare un argomento, nel caso attuale quello dell’arte. Vedete, se io fossi una persona seria, avrei scritto che Mark è un eccellente fotografo della land-photographie ().
Poi cosa credete, potevo anche infierire scrivendo ancora che «la fotografia del Cooper può essere vista pure come la palingenetica obliterazione di un antropomorfismo universale…» eccetera eccetera ma non l’ho fatto. E non solo perché ho molta simpatia per Mark, un giovane e bravo collega, ma perché per scrivere questi testi ci sono altri esperti molto più bravi di me e, per dirla come il mio caro vecchio nonno giudeo, quando con coscienza ecologica per evitare lo spreco di una risorsa fertilizzante non andava a farla al gabinetto ma lontano nei campi: «non voglio portare via il pane a nessuno».
1. voce Land Art da Wikipedia
Land-art o Earth Art : nata negli Stati Uniti negli anni ’70 come esperienza creativa nell’ambito dell’arte concettuale, e la cui definizione venne utilizzata per la prima volta nel 1969, in California, da Gerry Schum, autore di un famoso video sull’argomento, in riferimento al lavoro di artisti come Richard Long, Barry Flanagan, Robert Smithson, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, Christo, ecc. che agiscono direttamente sul paesaggio, modificandone l’aspetto mediante interventi temporanei o facendo uso di materiali naturali. L’azione prevede quindi l’obsolescenza delle opere, programmata dall’artista o affidata all’indomita vitalità degli agenti naturali, che rende il tempo, cioè il nemico principale dell’arte tradizionale, indissolubilmente connessa al concetto della sua persistenza, un protagonista positivo e previsto fin dall’inizio del linguaggio artistico.
Ando Gilardi
La mostra, come detto, è ospitata dall’Hotel Candiani storica struttura della città. Visitare la mostra potrebbe essere un valido pretesto per soggiornare al Candiani e visitare anche le colline e campagne limitrofe.
Qui di seguito vi proponiamo qualche immagine dell’Hotel.
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